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giovedì 16 aprile 2020

Chi mangia con i buoni pasto del Comune di Roma per l'emergenza Covid?
Sicuramente non ci mangeranno un migliaio di famiglie bisognose che resteranno escluse dalle graduatorie a causa di una gestione, tutta da verificare, del Campidoglio che è riuscito a perdere nella trattativa tra due società ben 500.000 euro in ticket. Come? Con una operazione, senza gara d'appalto ma con affidamento diretto di 10 milioni di euro, che avrebbe portato a scegliere una società francese che mette su piatto un valore di mezzo milione di buoni pasto in meno di una società italiana. A denunciarlo è proprio l'azienda italiana con una diffida inviata al Campidoglio. E ora, come anticipato ieri da Lorenzo d'Albergo su Repubblica, la Corte dei Conti ha aperto un fascicolo per stabilire se ci siano stati sprechi e mancate ottimizzazioni delle risorse.


L'ANTEFATTO Il governo ha stanziato 400 milioni di fondi per aiutare le famiglie bisognose per l'emergenza coronavirus. Al Comune di Roma sono arrivati circa 15 milioni di euro. Il Campidoglio, come molte altre amministrazioni, ha pensato che il modo migliore per distribuire questi fondi sia attraverso i cosiddetti buoni pasto. Partendo con i primi 10 milioni. Così il capo di gabinetto della sindaca Raggi ha subito chiamato la società Repas, che ha vinto la gara di appalto Consip per la gestione dei buoni pasto per la pubblica amministrazione del Lazio. La società, inizialmente, ha offerto al Comune uno sconto del 10%. Ma pochi giorni dopo si è inserita senza troppi scrupoli un'altra società di fornitura di buoni pasto, la francese Edenred la quale ha offerto al Campidoglio uno sconto maggiore, pari al 20%. A questo punto, la società italiana Repas si è adeguata e ha presentato un piano con il 20% di sconto per il Campidoglio.

LA SCELTA Alla fine il Comune, come rivelato da Leggo, ha scelto la società francese. Il motivo ufficiale? Lo ha ripetuto la stessa sindaca Virginia Raggi ospite della trasmissione di Barbara D'Urso: la società francese ha messo a disposizione «una novità assoluta, una speciale App per la gestione più veloce dei buoni pasto».

ALTRO CHE APP Non ci vuole tanto a capire che le persone bisognose spesso non dispongono di device ma soprattutto sono anziani con uno scarso livello di digitalizzazione i quali se ne fanno ben poco della App francese. Infatti il Comune è dovuto correre ai ripari. Come? Chiedendo a un centinaio di edicole di distribuire e raccogliere i moduli cartacei di richiesta. Per loro altro che App: saranno i vigili a consegnare i carnet dei buoni pasto. Buoni da 300 a 500 euro a nucleo familiare. E per i quali finora (oggi scade il termine) sono giunte circa 50mila richieste. Di queste ne sarebbero state evase 4.700 tramite App e 5.100 con blocchetti cartacei.

IL COLPO DI SCENA La società italiana che non è stata scelta da Comune è voluta andare a fondo. Ha visionato gli atti del Comune e ne ha scoperte delle belle. Al punto da aver inviato una diffida ufficiale. «In pratica - spiegano quelli di Repas - noi offrivamo buoni pasto per un valore di 12,5 milioni di euro e, applicando uno sconto del 20%, prendevamo dal Comune 10milioni. La società francese, invece, prendeva gli stessi 10milioni e regalava un 20% in più di valore. Quindi 12milioni. Insomma la società italiana metteva sul piatto 500mila euro di buoni pasto in più ». Non si sa se i dirigenti comunali abbiano spiegato male le cose alla sindaca o sia stata la Raggi a non capirle. Sta di fatto che, a quanto dice Repas, per le famiglie bisognose di Roma ci saranno 500mila euro in meno.

L'INCHIESTA La vicenda è ora finita alla Corte dei Conti. Il procuratore Andrea Lupi ha affidato il fascicolo per capire se ci sia stato un danno erariale o una mancata ottimizzazione delle risorse a favore delle famiglie povere.

NO RIPENSAMENTI Sulla vicenda ha chiesto chiarimenti il consigliere comunale della Lega Davide Bordoni. Mentre Fratelli d'Italia, con intervento anche di Giorgia Meloni, ha presentato una mozione per chiedere al Campidoglio di rivedere la procedura. Ma la mozione è stata bocciata. Dall'ufficio della sindaca Raggi nessuna dichiarazione (magari tornerà a parlarne senza contraltare da Barbara D'Urso) e nessuna risposta. Neppure alla domanda: chi mangia con i buoni pasto?

domenica 15 marzo 2020

Coronavirus, Arturo muore a 67 anni. Il dolore della moglie: «È un mostro che ti mangia il respiro»

Coronavirus, Arturo muore a 67 anni. Il dolore della moglie: «È un mostro che ti mangia il respiro». Arturo Ferrara, 67enne napoletano, è scomparso lo scorso 11 marzo. In un'intervista a Fanpage a firma Pierluigi Frattasi, la moglie Nunzia Longobardi ha ripercorso il calvario del marito, dai primi sintomi comparsi a fine febbraio, fino alla scomparsa.

Ecco le parole della moglie: «Per Arturo è successo tutto così in fretta. Si è aggravato dieci giorni dopo i primi sintomi. Tre giorni dopo è finito. Non aveva gravi patologie pregresse. Su questo virus, secondo me, nessuno è informato bene. La cosa terribile sono la tosse e la fame d'aria. Sapete qual è la paura? Che poi vedi che in poche ore avviene tutto. È come un mostro che ti sta mangiando improvvisamente. Questa è la sensazione, che non puoi più respirare. Arturo diceva a Claudia, nostra figlia 'è come se non riuscissi a sbadigliare' invece erano i polmoni che erano fortemente stressati».


Nunzia non ha potuto celebrare la cerimonia funebre pubblicamente, perché vietato dai decreti del governo per il Coronavirus. Adesso, anche lei e le due figlie sono in isolamento a casa. «Ci sentiamo come appestati. Nella mia vita mai avrei pensato una cosa del genere, mi sembra un film di fantascienza. La morte capita, io sono una persona razionale. Ma Arturo è stato privato di tutto, anche del funerale, come fosse stata l’ultima persona al mondo. Le ultime parole che ha detto a mia figlia sono state 'Claudia, voglio morire a casa'».

Nunzia continua raccontando il calvario del marito: «All'inizio pensavamo fosse una semplice influenza. Mai avrei pensato che Arturo avrebbe potuto prendere il Coronavirus perché era sempre molto attento all'igiene. Da quando è scoppiata questa epidemia guardava continuamente su YouTube i video sul coronavirus. Ai primi di febbraio andammo in un negozio vicino casa e comprammo di tutto, candeggina, spray, gel disinfettanti. Il proprietario ci disse 'Signor Arturo, se arriva il Coronavirus, potete aprire un negozio'. Lui sorrise e rispose 'Prevenire è meglio che curare. Dai primi di febbraio, Arturo è uscito solo in 2-3 occasioni. L’ultima uscita è stata dal dentista, il 26 febbraio, il giorno prima che comparissero i sintomi, ma era una visita su appuntamento ed eravamo soli. Una volta è andato al supermercato di via Petrarca ed è tornato nervoso. Gli ho chiesto il perché e lui mi ha risposto che le persone erano incivili. Mi ha raccontato che era bloccato in una fila e un signore dietro di lui tossiva e lui si è girato e gli ha detto 'Ma con questa situazione non mette nemmeno la mano davanti alla bocca?' Io gli ho risposto che era paranoico. La volta successiva, al supermercato lui ha fornito a tutta la famiglia i guanti monouso per non toccare il carrello, perché dicono che è il primo veicolo di contagio. Arturo aveva un inizio di Parkinson, ma era di media entità, infatti non tremava e poi era farmaco controllato, aveva iniziato la terapia».

La famiglia di Arturo ha lanciato un appello per una cerimonia funebre virtuale: «Era una cosa che ci stava facendo impazzire. Poi sulla mia pagina Facebook sono comparsi centinaia di messaggi di amici e conoscenti che hanno voluto ricordare la bontà, la gentilezza di Arturo. Volevamo chiedere di fare una preghiera assieme. Poi abbiamo pensato di fare questo applauso tutti insieme. Tra qualche mese, quando quest'incubo sarà finito, faremo la cerimonia religiosa e parteciperanno tutti».

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